martedì 27 marzo 2007

Marines GB: una confessione sospetta

A leggere bene la notizia della cattura di 15 marines britannici da parte dell'Iran, si resta colpiti da un particolare. L'Iran ha dichiarato che i 15 "hanno confessato" di essere entrati nelle acque territoriali iraniane.

E' fin troppo chiaro che la polizia di certi stati (forse di tutti, all'occorrenza) ha i mezzi per far "confessare" qualunque cosa, anche di avere una spiritromba al posto del naso e due dischi volanti al posto dei piedi. Fuor di metafora, è chiaro che l'Iran avrebbe benissimo potuto fornire la prova dello sconfinamento britannico, ad esempio con la divulgazione dei tracciati radar che hanno condotto alla cattura dei marines. Se non l'hanno fatto, e si sono affidati alla "confessione" dei prigionieri, è chiaro che avranno usato mezzi violenti per estorcerla. Una triste farsa di cui i marines sono semplici, disgraziate pedine.

Giovanni Romano

La patetica illusione delle dodici stelle


Quando è stata approvata la bandiera dell'UE, molti cattolici, anche tra i più conservatori, s'illusero di una implicita citazione delle radici cristiane attraverso il simbolo delle dodici stelle.

Ora, a parte l'osservazione di Ryszard Kapuscinski secondo cui "Tutto ciò che esiste 'non esplicitamente' è come se non esistesse", il resto è pura illusione! L'Europa è più determinata che mai a escludere il cristianesimo dalla propria storia. Basti vedere la risposta villana data a Prodi, che pure sull'argomento non si era scaldato più di tanto (citato su Avvenire, 25 marzo "«Avevo proposto degli emendamenti ma mi sono sentito dire: «Mettiteli in tasca, non li possiamo discutere perché c'è una storia divisa»").

E' infantile aggrapparsi alla consolazione dei simboli quando dietro di essi è venuto meno il loro significato originario. Nella peggiore delle ipotesi, servono solo come specchietto per le allodole.

Giovanni Romano

I dolci veleni della beneficenza

E' di nuovo tempo di beneficenza. A Natale i panettoni, a Pasqua le uova. Tutto contro le malattie. Ma perché mai, spiegatemi, per curare la distrofia dovremmo beccarci il diabete?

Giovanni Romano

sabato 24 marzo 2007

Mentre gli eurocrati si autoincensano...

... Papa Benedetto XVI richiama l'Europa alla realtà con il suo discorso ai rappresentanti della COMECE per i 50 anni del Trattato di Roma:

“Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia. Ciò, oltre a mettere a rischio la crescita economica, può anche causare enormi difficoltà alla coesione sociale e, soprattutto, favorire un pericoloso individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro”.

Non ho mai letto un giudizio più lucido, più preciso, più vero rispetto a quello che sta accadendo. Da notare che il sito della BBC World Service non ha degnato di una sillaba l'intervento del Papa (quando ne parla, è solo per diffamarlo, come nel caso del discorso di Regensburg). Questo non mi stupisce, ma è invece estremamente preoccupante che il sito del COMECE, cui era indirizzato il discorso, fino a questo momento non ha riportato il discorso del Papa, limitandosi a una generica esortazione sui "valori" dell'unità europea.

Se è già brutta la burocrazia di Bruxelles, molto peggio certa burocrazia clericale...

Giovanni Romano

Cattolici, non barellieri della storia

Pubblico qui l'estratto di una lettera inviata a un mio amico a proposito della scuola di formazione all'impegno politico che lui mi proponeva. Un progetto bello sulla carta ma con qualche vistosa ambiguità. E questa, tra parentesi, può essere una risposta a Luigi Bobba e al suo libro "Il posto dei cattolici".

Giovanni Romano

Per quanto riguarda la scuola diocesana d'impegno politico, vorrei esprimerti una mia perplessità. Si accusano i cittadini di apatia, qualunquismo, menefreghismo, opportunismo, e in gran parte tali accuse sono vere. Ma anche la classe politica non è esente da colpe. Prendi l'esempio di tanti referendum sistematicamente stravolti e ignorati (compresa la minaccia tutt'altro che vana di cambiare surrettiziamente la legge 40 e di abolire il Concordato).

Partecipare significa avere la disponibilità di esercitare un potere di cambiare le cose a vantaggio proprio o per il bene comune. Se invece il cittadino è chiamato a "partecipare" a decisioni già prese altrove, o a riti che per lui non hanno alcun significato, e non migliorano in nulla la sua situazione reale, è chiaro che alla fine nasce disgusto e avversione per la politica. E di ciò i politici possono ringraziare soltanto se stessi.

Questa apatia, ovviamente, non scoraggia per nulla i furbi e i prepotenti, anzi è per loro garanzia d'impunità. Sarebbe bene che una scuola di formazione politica mettesse a tema soprattutto questo: più che parlare astrattamente di "legalità", si dovrebbe partire dalla situazione attuale di totale *impotenza* dei cittadini verso istituzioni e organi d'informazione autoreferenziali, e studiare come è possibile ricostruire un tessuto sociale dal basso, partecipando non da cittadini anonimi ma da cristiani con una precisa identità e precise, non negoziabili appartenenze.

lunedì 19 marzo 2007

Il vero crimine è il politicamente corretto


La cronaca tranese, nelle prime settimane di marzo, ha registrato due avvenimenti apparentemente remotissimi tra loro, in realtà con dei punti di contatto abbastanza inquietanti. Il primo è il brutale assassinio di Aldomiro Gomez, un “viado” brasiliano di 57 anni, ritrovato nella sua auto con la testa fracassata; il secondo è la presentazione del libro “Boccamurata” della scrittrice anglo-sicula Simonetta Agnello Hornby (vedi foto a lato) presso la rinomata libreria La Maria del porto.

Cosa possono avere in comune due eventi tanto distanti? Prima di tutto, il sesso estremo, nelle sue forme più deviate (vedremo tra breve quale sia l’argomento di “Boccamurata”); in secondo luogo l’atteggiamento ormai apertamente apologetico della stampa e dei media quando si affrontano tali argomenti.

Cominciamo dall’omicidio del povero Aldomiro Gomez, nome d’arte “Tatiana”. Il giornale (Bombonotizie) ha avanzato due ipotesi. La prima, più ovvia, punta a un delitto maturato nell’ambiente degli omosessuali (su questa espressione ritorneremo subito). La seconda chiama in causa un branco di teppisti, denunciati dal Gomez pochi giorni prima di morire perché lo tormentavano e lo molestavano a causa della sua “diversità” (riporto le virgolette “politically correct” che nell’articolo compaiono immancabilmente). In quest’ultimo caso si sarebbe trattato di una vendetta del branco contro il Gomez, reo di essersi ribellato alle sue prepotenze.

A questo proposito, il titolo dell’articolo relativo al delitto coglie, forse involontariamente, un nesso che era già stato intuito dal sindaco di New York Rudolph Giuliani quando aveva cominciato a sbattere in galera i vandali e i “graffitari”. La conseguenza inattesa, ma non illogica, era stata la vistosa diminuzione degli omicidi e dei crimini violenti in città.

Il titolo recita infatti: NON PIU’ ATTI VANDALICI – ADESSO SI TORNA A UCCIDERE. Il riferimento è a precedenti, gravi episodi di teppismo avvenuti nei mesi scorsi (i leoni di pietra della Cattedrale semidistrutti a colpi di spranga, le giostrine devastate, le aiuole calpestate). Tutti segni premonitori di un’abitudine alla violenza e alla prevaricazione che, rimasta impunita, non ha difficoltà a esplodere poi nel delitto. In Italia, anziché fronteggiare il male a viso aperto, si è scelta la strada della resa e della rassegnazione, magari mascherandola da “dialogo”. L’indulto insegna, i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ma torniamo al caso Gomez. Parlare di delitto “maturato nell’ambiente degli omosessuali” sembra voler spiegare tutto, come se in tale ambiente l’omicidio e la violenza fossero più scontati che altrove, dunque implicitamente più scusabili. A questo punto dovrebbero venirci in aiuto le statistiche, che purtroppo non ho e non so come procurarmi. Devo quindi procedere per congetture. Il primo dato da considerare dovrebbe essere, logicamente, l’incidenza dei delitti e delle violenze in ambito omo o transessuale in rapporto alle persone che vivono questa condizione. Dato di per sé quasi impossibile da determinare, perché solo una piccola minoranza di queste preferiscono venire alla luce, checché se ne dica a proposito dell’”outing”. Bisognerebbe poi confrontare questa percentuale in rapporto ai delitti e alle violenze in ambito eterosessuale, comprese le mura domestiche (dati questi ultimi molto più facili da determinare). Se risultasse che l’incidenza percentuale fosse più alta nella popolazione omo o trans, allora si avrebbe ragione a parlare di uno specifico, pericoloso “ambiente”, altrimenti no.

C’è un mezzo semplicissimo, tuttavia, per porre fine alla ridda delle ipotesi almeno nel caso Gomez. La polizia ha senz’altro i mezzi per accertare se l’aggressione sia stata compiuta da uno o più persone. E mentre scrivo è più che probabile che la scientifica sia giunta a conclusioni definitive. Lo stesso articolista, a dire il vero, concede poco credito all’ipotesi di una vendetta di teppisti, e propende per il delitto omosessuale. Ma implicitamente ne accusa la “società”, rea di aver colpevolizzato il Gomez per la sua “diversità” (sempre tra virgolette!).

Ma è giusto? Possiamo accettare di farci colpevolizzare? Siamo proprio sicuri che quella diversità (senza virgolette, stavolta) debba essere accettata a occhi chiusi? Che io sappia (non sono un esperto, ovviamente…) i trans hanno un numero estremamente alto di partners casuali, di gran lunga superiore a qualsiasi individuo “etero”, uomo o donna. In tanta promiscuità, il rischio d’incontrare il “mostro” o lo psicopatico può essere proporzionalmente più alto che per le stesse prostitute. Proprio questa precarietà, che finisce sistematicamente nell’uso e nell’abbandono reciproco, rende intrinsecamente violenti i rapporti di questo tipo. Dove non c’è garanzia, né fiducia, né voglia di stabilità, è chiaro che i risentimenti e le frustrazioni possono esplodere con la massima violenza, anche per i più futili motivi.

Detto questo, possiamo sbrigativamente liquidare quest’omicidio come se appartenesse a un “milieu” che possiamo guardare con distacco, dall’alto della nostra certezza di non esserne mai contaminati? Al contrario. Confesso di aver provato una grande pietà per la morte squallida e atroce di questo trans, ormai alle soglie della vecchiaia. Ho detto per lui un “Eterno riposo” perché tra non molto tutti l’avranno dimenticato, in primis quelli che l’avranno usato, o che saranno stati usati da lui, per una sera o per poche ore soltanto.

La mia pietà però non va alla sua diversità, che l’ha portato, se mai, a una vita probabilmente depressa e triste, sempre spasmodicamente protesa a una felicità che in uno stato di vita come il suo era impossibile raggiungere. La mia pietà va all’uomo (sì, all’uomo, non al travestito, non alla marionetta!) nel momento in cui ha sofferto ed è morto. Non lo compatisco per quello che aveva di diverso ma per la sofferenza e il dolore che me lo hanno reso vicino. Mi chiedo se in quegli attimi di orrore si sarà reso conto di aver gettato la sua vita nel cestino. Una vita che forse poteva essere ben “diversa”, e stavolta diversa nel senso più giusto.

Ne dubito, però. Sia perché in momenti come quelli non c’è nemmeno il tempo di pentirsi, sia perché l’ambiente, la società, i media benpensanti fanno ormai in modo che non sia nemmeno più pensabile mettere in discussione certe “scelte di vita”, a nessuno deve essere consentito domandare se certe scelte siano giuste o no, distruttive o no. E’ l’utopia del “sane, safe and consensual”, come dicono gli americani. I costi di un piacere cercato soltanto per se stessi devono essere a carico di tutta la società.

Veniamo adesso al secondo episodio, avvenuto più o meno contemporaneamente. Il contesto non potrebbe essere più diverso. Là una stradina solitaria, un appuntamento furtivo e frettoloso, un poveraccio di mezz’età che si trascina dietro le proprie chimere; qui l’ambiente distinto e colto di una libreria, un pubblico gentile e attento, una donna intelligente, di successo, che ha viaggiato molto, sicura di sé e delle sue competenze, che si gode sorridendo le luci della ribalta.

Eppure l’argomento, il “subject-matter” del libro, è, se possibile, ancora più ributtante del delitto Gomez: l’incesto, e peggio ancora la sua giustificazione. Leggiamo infatti dalla presentazione, sempre a cura di “Bombonotizie”: “Scopo dichiarato dell’autrice… è quello di sfatare i tabù che di volta in volta segnano un’epoca o una storia”. Il bersaglio, ovviamente, è sempre lo stesso, attaccato con monotona regolarità da tutti quelli che si credono innovatori: “Sotto accusa è la famiglia, in questo caso una famiglia della Sicilia moderna, colta e ricca, che, sotto l’apparente normalità, si rivela covo di sentimenti innominabili, segreti inconfessabili, passioni impetuose e amori proibiti, il cui fil rouge è rappresentato dal possesso della roba”.

A stendere quest’atto di accusa è un’avvocatessa, nonché giudice minorile, “specializzata e affermata nelle cause su abusi dei diritti di donne e minori”. Non so quale sia la sua posizione su questi casi, ma non mi stupirei se fosse uno di quegli avvocati-avvoltoio, specializzati nello sfascio delle famiglie e soprattutto nella distruzione della figura maschile e paterna, una razza descritta con impressionante nitidezza da Claudio Risé nel suo libro “Il padre – l’assente inaccettabile”.

La trama, ridotta all’osso, è questa: Tito, un ricco industriale siciliano, capo della classica famiglia patriarcale, scopre di essere nato dal rapporto incestuoso tra suo padre e la sorella di lui, la vecchia Zia Rachele. Come se non bastasse, Tito viene a scoprire il segreto della sua nascita da Dante, l’amante omosessuale di suo figlio Santi. Tutto questo fa saltare in aria qualsiasi idea di famiglia "normale". Qual è l’effetto della scoperta su Tito? In altre epoche sarebbe stato sgomento, orrore, vergogna. Qui lo shock è certamente forte, ma non annienta Tito, bensì, al contrario, “suscita la sua rinascita”.

Ma di quale “rinascita” si può trattare? Direi che ha due aspetti, uno soggettivo e uno oggettivo. Il primo è il rifiuto del marchio d’infamia e della vergogna che di solito si accompagnano a scoperte del genere. Dal momento che nessuno può scegliersi lo stato di vita in cui nascere, questo rifiuto di accollarsi la colpa può sembrare a prima vista giustificato. Ma c’è una seconda implicazione, più sottile e per così dire “oggettiva”, che mira esplicitamente a giustificare l’incesto in quanto tale, fin quasi a dargli pubblica dignità, nel momento stesso in cui si accusa e si svilisce la famiglia. Che importa se a far nascere Tito sia stato un rapporto tra fratello e sorella? L’importante è che abbia avuto le cure e l’affetto di cui aveva bisogno. Zia Rachele ha saputo non solo fargli da madre, ma essergli madre; allora il tabù non sarebbe altro che una convenzione bigotta, messa in giro dai preti per tenere in soggezione le donne e gli immancabili “diversi”.

Di fronte a tanta apertura culturale, noi italiani che ancora ci dibattiamo alle prese coi DI.CO. facciamo la figura dei provinciali senza speranza. L’Inghilterra è silenziosamente entrata, e da tempo, in una combinazione tra i peggiori incubi totalitari di George Orwell e quelli eugenetici di Aldous Huxley. Una Sodoma che trova “normale” la segregazione alla rovescia a favore degli omosessuali (gli “etero” non vengono ormai ammessi in alcuni alberghi abitualmente frequentati dai gay), in cui si sta per dare il via libera alla creazione di ibridi uomo-animale, dove i matrimoni sono scesi al minimo storico da centoundici anni, dove si legalizzano le adozioni gay e dove siamo ai primi posti mondiali per delinquenza e alcoolismo giovanile, che scrupolo volete che si faccia di fronte a un rapporto incestuoso?

Ma se gli inglesi chiudono tranquillamente gli occhi davanti a tutto questo (in nome della solita “tolleranza” che vieta di fare domande) noi poveri provincialotti qualche domanda ce la poniamo lo stesso, se non altro grazie alla nostra rozzezza.

Chiediamoci prima di tutto: chi l’ha detto che l’incesto sia solo “uno dei tanti” tabù che “di volta in volta” hanno segnato un’epoca o una storia, quasi che fosse possibile cambiarli e superarli a piacimento? Se c’è una proibizione più costante, più tenace, più universalmente sentita da tutti i popoli, da tutte le culture e in tutti i tempi è proprio quella dell’incesto.

Non tanto, e non solo, per la paura dei danni che possono derivare dall’”inbreeding”, ma per un orrore ancora più profondo che nessun sofisma può demolire: la vita è movimento, apertura all’altro, fluire di generazioni che passano le consegne a quelle successive. Nell’incesto si commette violenza contro la vita sia "incartandola" nel rapporto endogamico tra fratelli, sia addirittura tornando indietro come nel rapporto genitori/figli. Perché Edipo si acceca e Giocasta si uccide, pur essendo assolutamente inconsapevoli di essere madre e figlio, nel momento in cui si univano in matrimonio?

Nell’Edipo Re, in verità, si tocca uno dei vertici della tragedia umana: perché l’uomo sia colpevole di un destino che non avrebbe potuto evitare in nessun modo, e debba ugualmente espiarlo. Quel che faceva inorridire i Greci non era infatti la colpa soggettiva ma la violazione di un ordine oggettivo (Edipo non è un malvagio ma uno sventurato). Alla base della tragedia vi è l’uccisione del Padre e la profanazione del suo talamo. Sono andati distrutti sia il rispetto verso il Padre che la distanza, anch’essa piena di rispetto, nei confronti della Madre.

La vita, anziché scorrere verso le nuove generazioni, è tornata indietro, si è ripiegata su se stessa. La pestilenza che cade su Tebe non è solo il castigo esterno degli dei, ma il segno di questa vita corrotta e bloccata. Quello che Edipo e Giocasta hanno generato è solo vita apparente, destinata a distruggersi (Eteocle e Polinice) o a perire di morte violenta (Antigone), perché una volta ucciso il Padre nessuno è più in grado di essere veramente padre.

Tutto ciò, ne sono certo, non turba né interessa minimamente la Aniello Hornby. Quello che conta, per lei e per la cultura cui appartiene, sono solo i sentimenti soggettivi: se uno “accetta” la propria condizione e ci si trova bene, perché no? Se non c’è un ordine dato fuori di noi da rispettare, certo che il tabù dell’incesto è solo un sopruso e un inutile senso di colpa! Anzi il sopruso più grande è il matrimonio, perché fissa i ruoli, vincola le volontà, non permette di andare oltre un limite certo nei rapporti tra consanguinei.

Nell’ideologia della Hornby non è “l’ipocrisia” della famiglia a essere messa sotto accusa, ma la famiglia in quanto tale. Confesso che avrei un po’ di perplessità, anche a livello personale, verso chi “si trova perfettamente a suo agio nel raccontare le vicende familiari più torbide”. Nemmeno l’ombra di un dubbio, il sussulto di un minimo disagio? A nessuna domanda è permesso di venire a importunare la coscienza?

Probabilmente cercheremo invano tutto questo. C’è soltanto la figura “impassibile e distante” della Zia Rachele, la madre incestuosa di Tito. La recensione di “Bombonotizie” non dice nulla sui motivi che l’hanno portata all’incesto con il fratello Gaspare. Ma è facile escludere che il distacco e l’impassibilità di Rachele siano dovuti a rimorso per quello che è avvenuto (e che lei, a differenza di Tito, avrà voluto consapevolmente). Sarà probabilmente un senso di superiorità intellettuale (lei, nonostante l’età, è ancora “lucida e vivace”), una commiserazione sprezzante per chi ancora è rimasto ancorato a certi “tabù”. Forse la Zia Rachele è un autoritratto spirituale dell’autrice, donna colta e ormai definitivamente emancipata, al di sopra della massa ignorante.

Il libro si chiude su una nota di speranza, dice la recensione. Speranza in chi, in cosa? Soltanto in se stessi, presumibilmente. E’ vero che i figli non devono pagare per le colpe dei padri, ma è altrettanto vero che ogni generazione è responsabile dei figli che metterà al mondo, e che l’incesto distrugge l’idea stessa di paternità. Ma per una mentalità come quella cui appartiene la Hornby il vero tabù è interrogarsi sul significato e le conseguenze delle proprie azioni. Non basta portare alla luce e pubblicizzare un atto intrinsecamente cattivo perché diventi socialmente accettabile.

Dispiace dover dedicare tanto tempo ed energie a temi prima confinati nella sfera dell’intimo, più ancora che del privato. Il fatto è che il concetto stesso di persona è diventato pubblico, negoziabile. Quanto più si rivendica la privatizzazione selvaggia delle scelte familiari e sessuali tanto più si cerca d’imporle per legge, distruggendo gli istituti giuridici esistenti e creandone altri. Più si cerca di appartenere soltanto a se stessi, più si chiama in soccorso la mano pubblica. Si creano così esseri soli, atomizzati, dipendenti in tutto e per tutto dai meccanismi impersonali della burocrazia (basti vedere quanto è burocratica la proceduta per mettere in piedi un DI.CO.).

Il profondo fil rouge che lega l’assassinio di Aldomiro Gomez e il libro di Simonetta Agnello Hornby non sta soltanto nell’arbitrario stravolgimento della sessualità umana, ma soprattutto nell’atteggiamento chiaramente apologetico della stampa nei loro confronti. E se questa è la stampa locale, figuriamoci quella nazionale! I comportamenti e le “scelte” (anzi, si preferisce la parola neutra “orientamenti”) diventano insindacabili, dei dogmi assoluti, e guai a chi li mette in discussione.

Inutile dilungarsi sulle conseguenze, anche se va osservato che tutte puntano alla soppressione e all’impoverimento della vita umana. L’unica differenza, se mai, è che Aldomiro Gomez ha pagato di persona, mentre la Agnello Hornby probabilmente continuerà ancora per molti anni a incassare lauti profitti per quello che scrive, e per le famiglie che, come avvocato, contribuisce con tanto zelo a sfasciare.

Giovanni Romano

martedì 6 marzo 2007

Spammers

Giornali e notiziari Web segnalano con preoccupazione l'aumento esponenziale dello spam. E' certamente vero, ma posso dire che in questo momento sono inspiegabilmente fortunato.

Fino a qualche settimana fa ricevevo dagli 80 ai 110 messaggi spazzatura al giorno, ora si sono ridotti a 10-12. Forse avranno pescato e mandato in galera qualche spammer, oppure i filtri saranno stati migliorati.

In ogni caso, è una notizia che fa molto piacere.

Giovanni Romano

domenica 4 marzo 2007

Parlamento e vuoto mentale

Il TG1 delle 20, stasera, dava pomposo risalto all'iniziativa di Bertinotti per creare un apposito "luogo di meditazione" all'interno di Montecitorio, un ambiente asettico e rigorosamente aconfessionale (bandito qualsiasi simbolo religioso, va da sé che il Crocifisso è il primo nella lista degli esclusi) dove sarebbe possibile, per gli onorevoli, ritirarsi nel silenzio a meditare tra una seduta e l'altra.

Mi sono trovato una volta a visitare uno di questi spazi "multireligiosi" ed "ecumenici" all'aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, e l'ho trovato molto deprimente. A differenza del progetto italiano, era una sala di preghiera affollata di troppi simboli: ruote di preghiera buddiste, menorah ebraiche, il mihrab islamico e una croce (ma non il Crocifisso né tantomeno il Santissimo, ci mancherebbe!). L'unico che sembrava trovarsi a suo agio era un musulmano che stava pregando sul tappeto. Ma è comprensibile, per il seguace dell'Islam non è importante il luogo in cui si prega, bensì semplicemente essere rivolti verso la Mecca e dire la preghiera alle ore prescritte.

Mi fece l'effetto di un ripostiglio dove le religioni, più che venire unite, erano state accantonate come un mucchio di cianfrusaglie, una specie di vespasiano dello spirito destinato a gente non ancora "illuminata" che aveva bisogno di sfogare i propri "bisogni" interiori. Era uno spazio così "neutro" che non significava niente, dove non sarebbe stato mai possibile sentire vicina una presenza trascendente. La voce di Dio si può percepire solo in uno spazio reso sacro da chi ha fede, non nel bugigattolo residuale progettato da un architetto al quale la religione è del tutto indifferente. Trovai che era meglio raccogliersi e pregare silenziosamente l'Ora Media in sala d'aspetto, su una poltroncina qualunque.

Ora si vuol ripetere lo stesso giochetto in Parlamento, nobilitandolo con la balla della "meditazione". Ma nella meditazione l'uomo guarda soltanto se stesso, è molto difficile che l'Altro gli parli. Inoltre, vorrei sapere se lo spazio che si ha in mente di creare (e la cui realizzazione è stata affidata, non certo a buon mercato, all'architetto Paolo Portoghesi) dovrebbe essere realizzato chiudendo la cappella cattolica già esistente, impedendo così ai deputati cattolici di assistere alla Messa. Se così fosse (e non ne dubito, vista la strombazzata "laicità") vedremmo ancora una volta la mistificazione di una mentalità atea che, con la scusa del multiculturalismo toglie di mezzo la cultura cristiana.

Spero ovviamente che nessun deputato autenticamente cattolico metta mai piede in quel vuoto né mai lo riconosca come luogo di preghiera. Ci vada se mai la Bindi, a "meditare" sulle sciocchezze che ha fatto.

Giovanni Romano

Pietà per i cavalli, morte per gli uomini

Da bambino, non capivo assolutamente perché un cavallo che si azzoppasse dovesse essere abbattuto, e per questo piangevo. Ora che ho quasi cinquant'annin penso ancora che ci si dovrebbe sforzare per risparmiare un cavallo azzoppato (specialmente quando la disgrazia è accaduta per colpa dell'uomo), ma mi colpisce che oggi si tenta l'impossibile con interventi costosissimi pur di salvargli a vita, mentre tanti anziani, "amorevolmente" invitati alla decisione "altruista" di scegliere l'eutanasia, sono considerati nient'altro che un peso e un costo per la collettività.

Giovanni Romano

W la Quaresima, abbasso “Chocolat”!

Avevo deciso di scrivere questo brano senza nemmeno sapere che il cosiddetto servizio “pubblico” RAI avrebbe mandato in onda proprio il film menzionato nel titolo. Un atto di cosciente disprezzo per i cattolici, tra parentesi, perché il film mette alla berlina proprio la Quaresima che stiamo attraversando. Avessero provato a burlarsi del Ramadan, credo che gli sarebbe andata meno bene.

Ma non di questo voglio parlare, bensì dell’esperienza inaspettatamente bella che sto vivendo in questi giorni. Una volta tanto, ho deciso di prendere la Quaresima sul serio. Dunque più preghiera, meno computer, e soprattutto più digiuno. Niente di particolarmente punitivo, intendiamoci: semplicemente, abolire il cornetto quotidiano che avevo preso il vizio di prendere con l’espressino (faccio eccezione la domenica), e venerdì niente del tutto, nessun fuori pasto.

Tutto qui? Tutto qui, ma proprio questo mi ha colpito. Fino a quel momento non mi ero reso conto, o non mi ero voluto rendere conto, di quanto fossi ingrassato, appesantito, impigrito. Di quanto insomma mi fossi buttato giù. Per il peso del corpo cominciavano a soffrire persino i piedi nelle scarpe. E tutto questo per un cornetto apparentemente così piccolo…

E’ bastato questo digiuno per modo di dire per restituirmi almeno un po’ di agilità fisica, prontezza mentale, gusto alla realtà. Ora cammino più sciolto per la strada, salgo le scale più facilmente, soprattutto non mi assalgono più le tormentose micro-amnesie che mi facevano cercare ansiosamente, dappertutto, mille inezie che andavo dimenticando.

Quando me ne sono accorto ho cominciato a paragonare questa situazione di benessere con il messaggio del film (e del libro di Johanne Harris da cui è tratto, ancor più meschino e rabbiosamente anticattolico). Qual è il soggetto di entrambi? Una donna (con figlia al seguito, ma ovviamente non sposata) apre una cioccolateria artigianale in un paesino di montagna, durante la Quaresima e proprio in faccia alla chiesa, sfida i fulmini del parroco e pian piano distoglie i paesani dal timore dei castighi divini e dalle “inutili” mortificazioni quaresimali. Grazie alla cioccolata, nel paese si diffonde un’atmosfera di festa, di pace, di tolleranza… insomma tutto il blablabla politicamente corretto che va ora di moda. Cristo è bell’è dimenticato, comincia il culto della Dea Gola.

Il libro e il film, presumibilmente, si fermano compiaciuti al momento della sconfitta del parroco, nella visione idillica del “vissero-tutti-felici-e-contenti”. Ma dopo qualche mese o qualche anno, che ne sarebbe stato realmente dei paesani? E’ facile immaginarlo: alle prese coi denti rovinati, con le nevrosi da ciccia e le diete ipocaloriche, la bulimia l'anoressia, o peggio ancora l'obesità infantile… e vi risparmio le malattie annesse e connesse. Oltre alla cioccolataia, in quel poetico borgo alpino avrebbero trovato l'Eldorado anche una schiera di dentisti, dietologi, psicologi, diabetologi e chi più ne ha più ne metta. Se gli abitanti avessero dato retta al prete forse gli sarebbe costato meno.

Al di là di tutte le chiacchiere sulla "pace, la tolleranza, l'accoglienza delle diversità", e sciocchezze del genere, libri e film come questi vogliono creare l'uomo a misura del vero potere: un consumatore ben nutrito che non si fa mai domande, e che anzi reagisce con fastidio quando qualcuno gli ricorda che esiste qualcosa al di fuori di lui (non a caso, nel Giulio Cesare, il dittatore ha paura di Cassio perché non pensa soltanto a mangiare).

Per questo io mi tengo la Quaresima. Gli altri, se non vogliono ascoltare, si tengano i loro appetiti e le loro nevrosi. E li scambino pure per "libertà".

Giovanni Romano